La Battaglia di Teutoburgo - di Riccardo Liberati

12.10.2018

L'attuale Europa dipende da questo?

di Riccardo Liberati,fisico e divulgatore.

Gli antefatti: Nella storia vi sono stati eventi bellici che hanno portato a cambiamenti radicali. Uno di questi e forse il più importante nella storia d'Europa, è la battaglia che si svolse nella prima decade di Settembre del 9 D.C. in una zona non ancora determinata con certezza nel nord della Germania. Per la storia della civiltà occidentale, rappresenta una sorta di punto di diramazione. Se la battaglia non avesse avuto luogo o avesse avuto un esito opposto, la storia del vecchio continente sarebbe stata probabilmente diversa.
L'evoluzione della storia del mondo è influenzata, spesso, da una serie di fattori del tutto imponderabili. Ad esempio se durante la campagna del 1815, Napoleone avesse usato una calligrafia più comprensibile ed avesse spedito al Maresciallo Drouet d'Erlon un messaggio chiaro nella battaglia di Ligny, l'esercito prussiano sarebbe stato annientato e non avrebbe consentito a Wellington di resistere agli attacchi francesi il 18 giugno dello stesso mese a Waterloo.
Va da se quindi, che eventi a volte banali come la scrittura di una lettera con questa o quella calligrafia, possono mutare il corso degli eventi, ma in maniera assolutamente imprevedibile. Se Napoleone avesse vinto a Waterloo, non ci sarebbe stato il congresso di Vienna e fin qui, si può essere d'accordo. Ma poi? Si possono soltanto fare delle congetture.
Nel caso della Battaglia di Teutoburgo del 9 D.C. le cose sono invece, facilmente e forse univocamente prevedibili. Ma che cosa accadde quell'anno in quella impenetrabile foresta?
Iniziamo da Giulio Cesare. Conquistata la Gallia, si rende conto che dall'altra parte del Reno vivono delle tribù estremamente bellicose che possono minacciare le sue conquiste. Così, con la scusa della difesa di una tribù gallica attaccata dai germani inizia una campagna contro di loro. Sconfigge Ariovisto in una battaglia campale e costruisce un ponte sul Reno. Lo attraversa e fa terra bruciata. Cesare è un uomo sicuro di sé e si fida della potenza delle sue legioni. Tuttavia capisce che il rischio di avventurarsi in una terra tutta paludi e foreste è enorme e dopo la bravata si ritira sulla riva sinistra del fiume distruggendo il ponte. Leggendo il 'De bello gallico' si capisce che Cesare fa una scoperta interessante e la comunica tra le righe al lettore. I germani sono il popolo più barbaro con cui Roma ha avuto a che fare, ma stranamente non sono stupidi. I greci avevano stabilito l'equazione: barbaro uguale stupido e tutto sommato, questo aveva sempre funzionato. Se Cesare ha potuto conquistare la Gallia lo si deve al suo genio, alla sua capacità di comando ed al suo esercito, indubbiamente in quel tempo, il migliore del mondo. Ma gli danno una mano i celti: barbari e non brillanti intellettualmente. Non conoscono il loro territorio e in più occasioni si fanno mettere nel sacco dal condottiero romano.
I germani di Ariovisto invece sanno perfettamente come muoversi. Tant'è che Ariovisto fa una mossa astuta quanto coraggiosa: aggira le truppe di Cesare tagliandogli i rifornimenti. Un altro generale, si sarebbe fatto prendere dal panico, ma a Cesare non accadde. Si comporta come se nulla fosse accaduto e prosegue la marcia. La battaglia che alla fine ne consegue ha un esito più o meno scontato. La decima legione riesce a circondare i germani e lo scontro si trasforma in strage. Come dice Fisher Fabian nel suo libro sui germani, la storia del mondo è piena di idioti sconfitti da persone un poco meno idiote di loro. Ariovisto è stato un grande uomo che ha avuto la sfortuna di incontrare sul suo cammino un uomo più grande di lui.
Assassinato Cesare, e consolidato Ottaviano Augusto il suo potere, Roma decide di proseguire quello che il predecessore del primo imperatore aveva lasciato in sospeso. Il generale Druso Maggiore inizia la campagna di invasione delle Germania e riesce nello scopo. Arriva fino al fiume Elba sconfiggendo tutta una serie di tribù, tra cui i Cherusci. Ma una caduta da cavallo (e qui torna l'imponderabile possibile causa di cambiamenti enormi nella storia del mondo) gli causa la rottura di un femore. Druso muore, ma la conquista della Germania è considerata ormai cosa fatta.

I fatti
:Augusto affida la gestione della provincia appena conquistata a Publio Quintilio Varo, ex governatore della Siria. Varo è un uomo di legge, un giurista. In Siria è riuscito a soffocare una sorta di ribellione punendo severamente i Siriaci ribelli con la morte e crede di poter fare la stessa cosa in Germania. Qui sorge il primo dubbio: come mai Augusto, uomo non certo sprovveduto, che aveva dato prova di capacità e pragmatismo nella lotta contro Marcantonio, affida il governo della provincia appena acquisita ad un uomo come Varo? Lo riteneva adatto allo scopo non conoscendolo bene o pensava che i suoi metodi, avendo funzionato in Siria avrebbero funzionato anche in Germania? Ovviamente, non c'è risposta.
Sta di fatto che Varo, si comporta in Germania come si comportò in Siria: fustigazioni pubbliche, popolazione vessata dalle tasse, imposizione della legge romana ad un popolo che aveva delle tradizioni completamente diverse. Ora, gli storici dell'epoca, ci dicono che non ostante tutto, lentamente i germani si stavano adattando al nuovo stile di vita. Passavano l'inverno nelle città che i romani stavano costruendo e iniziavano ad appezzare i vantaggi che conseguivano dall'occupazione delle loro terra. D'altro canto, il genio dei romani fu proprio questo: far apprezzare ai nuovi conquistati i vantaggi derivanti dalla loro sconfitta. Ad onta di coloro che vaneggiano di un impero romano oppressore e tirannico, dirà secoli più tardi Claudio Rutilio Namaziano riferendosi a Roma: "Tu hai reso felici i popoli nella sconfitta". I germani, abituati all'umidità delle paludi e ad una dieta non certo raffinata, dovevano apprezzare i vantaggi della sottomissione a Roma. Tant'è che molti di loro rimasero fedeli all'Urbe anche quando i romani furono costretti a ritirarsi. Segno questo, che in fondo con Roma a comandare, le cose al di là del Reno non andavano poi tanto male per i nativi. Ma i metodi di Varo, non erano molto apprezzati e qui entra in scena un nuovo personaggio: Arminio principe dei Cherusci, una popolazione sconfitta da Druso. Arminio viene mandato a Roma come ostaggio, entra nell'esercito romano e si fa notare per le sue capacità ed il suo talento militare tanto che i romani gli conferiscono l'onore della cittadinanza romana ed il grado equestre. A questo punto però, nasce un litigio. Arminio perde la testa per Tusnelda, la figlia di Segeste, germano alleato dei romani. Segeste tuttavia non ne vuole sapere. Forse nella sua testa c'era il sogno di fare sposare la figlia ad un personaggio influente di Roma per consolidare la sua posizione o forse semplicemente non gli piaceva Arminio che considerava una testa calda. Non lo sapremo mai. La cosa tuttavia rende Arminio furibondo e nella sua mente evidentemente, nasce il desiderio di vendicarsi. Ma vendicarsi di Segeste, vuol dire vendicarsi dei romani di cui lui è alleato e da cui è protetto.. Sa che non potrà infierire su di lui senza infierire sui romani.
I tedeschi hanno fatto di questo ragazzo innamorato, un eroe. Arminio è per loro l'eroe che libera la Germania dall'oppressore, ma spesso gli uomini attribuiscono ad altri uomini, valori ed ideali che a quelli sono estranei. Si è visto in Spartaco, l'eroe che combatte Roma per liberare il mondo dalla schiavitù. Ma c'era veramente nella testa di Spartaco questo ideale? O forse più banalmente Spartaco era un disperato? Un uomo qualunque che ribellandosi alla sua schiavitù, capì che se voleva evitare la crocifissione doveva convincere altri schiavi a lottare con e per lui? Se avessimo chiesto a Spartaco se considerasse abietta la schiavitù, siamo sicuri che ci avrebbe risposto di si? O forse com'è probabile nella sua visione del mondo la schiavitù era semplicemente una istituzione data per scontata e la sua ribellione era soltanto una faccenda privata, come diremmo oggi? Stesse considerazioni valgono per Arminio. Era veramente la libertà del suo popolo quello che gli stava a cuore? O più banalmente in lui vi era soltanto un desiderio di vendetta per l'amore non concesso? Come con Spartaco, né lui né altri ce lo hanno detto. Sono segreti questi che di solito gli uomini custodiscono gelosamente e si portano nella tomba.
Ma torniamo ai fatti: Arminio, finge di essere amico di Varo, mentre invece organizza una trappola. Convince alcune tribù a ribellarsi a Roma. Quali argomenti abbia portato a sostegno del suo programma di ribellione, non lo sappiamo. Di certo, il ragazzo era sveglio e aveva imparato dai romani ad esprimersi in maniera convincente. Sta di fatto che le tribù accettano. Varo con le sue tre legioni, si trova nei quartieri estivi. Arriva l'autunno e l'esercito di occupazione dovrà spostarsi in quelli invernali più ad ovest. Al comando di Varo ci sono tre legioni, la XVIIa, la XVIIIa e la XIXa più alcune migliaia di uomini appartenenti alle truppe ausiliarie e l'immancabile cavalleria. Si tratta di una forza d'urto devastante che se messa in condizione di schierarsi in campo aperto, risulta praticamente imbattibile e questo Arminio, avendo combattuto con i romani, lo sa. Ma sa anche che gli eserciti romani hanno un punto debole. Se non riescono a schierarsi in campo aperto, la loro efficacia diventa praticamente nulla. Così escogita un piano: assalirà le legioni durante la traversata nel fitto di una foresta. A questo punto sorge un altro dubbio: come mai Varo non si accorge di nulla? Arminio deve essere stato bravissimo a fingere, ma se non proprio a Varo che evidentemente nella sua ingenuità si fidava cecamente di lui, come mai a qualcun altro non venne il sospetto che qualche cosa stava andando storto?
Ma andiamo avanti. Arriva il giorno della partenza e le tre legioni con i bagagli, gli ausiliari, la cavalleria ed un cospicuo numero di civili, si mette in marcia. La sera prima succede un fatto strano. Segeste denuncia pubblicamente il piano di Arminio a Varo. Avverte Varo che Arminio gli sta tendendo una trappola. Arminio si è inventato una finta piccola ribellione che i romani potranno sedare semplicemente deviando di poco la strada durante la marcia e quindi li assalirà. Ora, qualsiasi uomo di normale intelligenza e di buona salute mentale avrebbe iniziato a dubitare. Varo invece non dubita. Evidentemente i rapporti tra Arminio e Segeste dovevano essere talmente compromessi che Varo considera quello che dice Segeste, una semplice sparata per screditare Arminio. Ma tre legioni significano di fatto un esercito imperiale, con tanto di generali, 'primi pili' e uomini avvezzi alla strategia ed alla tattica militare. Nessuno si accorge di niente. Nessuno sospetta niente. A nessuno viene in mente di mandare gruppi di avanguardie per perlustrare il territorio durante la marcia. Se i romani, nel corso della loro storia fossero stati così ingenui, non sarebbero riusciti a conquistare nemmeno i sette colli. Invece quel giorno in Germania, diventano tutti perfettamente idioti. Generali, 'primi pili', ufficiali, nessuno sospetta niente, nessuno prende sul serio il discorso di Segeste. Che conclusione se ne può trarre? Forse le cose non sono realmente andate così. In fondo quello che sappiamo lo sappiamo grazie agli storici romani che potrebbero avere inventato tutto. Ma a che scopo? Per far ricadere la colpa del disastro su Varo e sui generali romani? E' poco credibile. E quindi? Mistero. Anzi, il primo mistero. Ne seguiranno altri. C'è anche da dire una cosa: se gli scampati al disastro sono stati così pochi, come fanno gli storici romani a sapere della delazione di Segeste? Forse qualcuno dei sopravvissuti aveva sentito tutto? Ma se è così vuol dire che a sentire Segeste erano in parecchi. La notizia deve essersi diffusa nel campo. Se così stanno le cose è ancora peggio: nessuno prende sul serio Segeste nemmeno tra gli ufficiali. Ma andiamo ancora avanti. Varo e l'esercito imperiale si mettono in marcia. Arminio ovviamente è con i romani, finge fino all'ultimo. Deve farlo altrimenti il piano non riesce. Arrivati ad un certo punto del tragitto, i romani deviano dal percorso per andare a sedare la piccola ribellione inventata dal giovane germano. Altro mistero. Chiunque si intenda minimamente di cose militari sa che per andare a combattere un nemico occorre conoscere la sua posizione, la sua forza ed il suo schieramento. Insomma, chi sono, dove sono, quanti sono e come sono armati. I romani non erano degli sprovveduti. Avevano conquistato mezzo mondo, sconfitto Cartagine, gli eserciti greci, avevano teso una sorta di trappola ai teutoni e l'anno dopo ai cimbri, annientandoli, insomma, non erano certo dei principianti. Eppure, qui si fanno fregare come polli. La deviazione presto risulta più difficoltosa del previsto. La marcia dei legionari nella foresta paludosa si trasforma in un incubo. Come se non bastasse arriva anche il tempo a metterci del suo. Scoppia un temporale. Il terreno diventa viscido, i legionari arrancano. I carriaggi affondano nel fango. I rami spezzati dal vento cadono addosso ai legionari e ne impediscono la marcia. Altro mistero. Né Varo, né i generali, né gli ufficiali, propongono di tornare indietro. Sanno che in queste condizioni sono vulnerabili, ma continuano ad infilarsi nella foresta senza mandare una pattuglia di ricognizione in avanscoperta. Sembra tutto talmente assurdo da essere uscito da un mediocre film di Hollywood. Eppure succede questo, almeno a sentire i romani. Sono andate veramente così le cose? O, come è più probabile, i romani si sono trovati circondati da tutte le parti appena iniziata la marcia? Gli scavi di Kalkriese sembrano escluderlo. Sembra che le cose siano andate così; i romani si sono fatti sorprendere e non hanno avuto tempo e modo di schierare le legioni in ordine di battaglia. Ma ricordiamo che parecchi storici negano che Kalkriese sia realmente il luogo della battaglia di annientamento. In ogni caso, si tratta di un ulteriore mistero. A quel punto i romani vengono assaliti. I germani escono dalla foresta dove si erano nascosti e prendono di sorpresa i legionari che iniziano a cadere a centinaia. Arminio passa con i suoi e Varo deve averlo saputo quasi subito. In quel momento doveva essere chiaro a tutti che Segeste aveva ragione. Perché Varo non dà l'ordine di tornare indietro e uscire dalla foresta? Non si sa. I romani continuano ad avanzare e i germani attaccano da tutti i lati. L'imboscata è riuscita perfettamente. Ora, un altro mistero: sembra che i germani abbiano costruito un terrapieno dove si sono nascosti per aggredire i nemici di sorpresa. Ma il terrapieno trovato a Kalkriese è di un centinaio di metri. E' stato calcolato che la colonna romana in marcia doveva essere lunga almeno venti chilometri. Ammettiamo che non sia così. Ammettiamo che i romani fossero disposti su più file da quattro o da sei, come prescriveva l'ordine di marcia in quei tempi e che la colonna si sia sviluppata per soli otto o nove chilometri. I germani si nascondono dietro un terrapieno. Ma questo serve soltanto a tendere l'imboscata a un centinaio di metri di colonna. E il resto? Non solo. I romani passano di fianco al terrapieno e non si accorgono di nulla. A nessun centurione, a nessun ufficiale viene in mente di mandare qualcuno a vedere che cosa c'è dall'altra parte. Parliamoci chiaro. Sarebbe incredibile persino in un film di cartoni animati. Non solo, ma gli storici affermano che i germani erano molto meno numerosi dei romani. Qualcuno parla addirittura di non più i tremila guerrieri. Come hanno fatto ad aggredirli su tutta la colonna allora? Insomma, come si vede, i conti non tornano già dall'inizio delle storia. Comunque sia, i romani capiscono di essere in trappola. Non riescono ad uscire dalla foresta e la battaglia dura altri due giorni. Alla fine lo sterminio è totale. I germani non fanno prigionieri, anzi, seguendo una loro particolare inclinazione che conserveranno i loro discendenti fino a pochi decenni or sono, infieriscono sui prigionieri. La tragedia è totale. Tre legioni, coorti di ausiliari distrutte, ali di cavalleria annientate. La notizia giunge a Roma come un fulmine. Augusto cade in depressione. Per giorni non si rade nemmeno la barba. Piange in continuazione e ripete come un automa "Varo rendimi le mie legioni". Lo shock deve essere stato tremendo. Per la prima volta un esercito di occupazione romano viene annientato da una rivolta di barbari. Non era mai successo. Non così per lo meno. Negli anni successivi i romani si vendicheranno con Germanico. Temporaneamente torneranno fino all'Elba. Sconfiggeranno Arminio, stermineranno fino all'ultimo uomo i Marsi, una tribù che aveva partecipato alla ribellione e vendicheranno i romani caduti, ma i confini dell'impero si fermeranno al Reno. Che cosa spinse i romani ad abbandonare l'idea della conquista totale delle provincia germanica? Come dice uno storico inglese, fu l'estrema povertà della Germania ad escluderla dalla dominazione romana. Conquistarla sarebbe stato in fondo fattibile, Druso lo aveva fatto, ma poi? La storia insegna che molto spesso le difficoltà risiedono non tanto nella conquista, ma nel mantenimento. Dislocare a nord decine di migliaia di uomini per mantenere una provincia che non dava nulla era uno spreco che i romani no erano disposti a compiere. Nessuno impiega decine di migliaia di soldati per conquistare e mantenere paludi e foreste. E' stato obiettato che Roma conquistò la Dacia che era comunque piena di foreste e paludi. Ma in Dacia c'era l'oro, il famoso oro di Decebalo. In Germania no e i romani quando si trattava di andare a prendersi l'oro degli altri non andavano per il sottile. Comunque sia, Tiberio prese la decisione di lasciare perdere la Germania. In fondo, a quel tempo, i barbari oltre il Reno erano sufficientemente abili a sterminarsi da soli, senza l'aiuto dei legionari. Tornarono in Germania varie volte. I ritrovamenti archeologici di Harzhorn vicino a Kalefeld in bassa Sassonia, lo dimostrano, ma sempre per spedizioni punitive, mai con il desiderio di sottomettere e mantenere l'intera Germania.

Le conseguenze:Il mito di Arminio nasce nell'800. Benedetto Croce fa risalire all'imboscata del 9 D.C. la genesi del nazionalismo tedesco. Nazionalismo che scriverà le sue pagine più drammatiche negli anni compresi tra il 1930 ed il 1945. Nel 1800, con le guerre franco tedesche e soprattutto nel 1914, i tedeschi percepiscono la necessità di un mito unificatore. La Germania non è unita e non c'è nulla meglio dei miti per unire i popoli divisi. Sorge quindi il mito di Arminio, l'eroe liberatore della Germania. Qualcuno, come Thomas Mann nelle sue 'Considerazioni di un impolitico' porrà la questione della differenza tra germanesimo e romanità in termini di Kultur e Zivilization. I tedeschi rappresentano la Kultur, i latini (in quel tempo Mann si riferiva alla Francia), la Zivilization. La Kultur rappresenta lo spirito, la libertà, l'amore per l'arte, la Zivilization la decadenza, lo stato centralizzato, la perdita dei valori individuali annegati nella palude della macchina statale efficiente quanto si vuole, ma in ultima analisi comunque corruttibile e corruttrice. Dopo il 9 D.C. i romani, per un motivo o per l'altro hanno rinunciato alla Germania e questo ha spaccato l'Europa. Le invasioni del quarto e quinto secolo hanno trasformato l'impero romano in un impero 'romano - germanico', ma non avendo gli invasori la stessa abilità politica del popolo che andavano a sostituire nella gestione dell'impero, lo frazionarono in tante piccole unità che sarebbero divenute poi le Nazioni europee. La spaccatura dell'Europa in tante unità nazionali è stata la conseguenza della inettitudine politica dei barbari che occuparono l'impero, anche se, bisogna ammetterlo, i germani dei tempi di Odoacre non erano gli stessi dei tempi di Arminio. Fatto sta che con l'esclusione della provincia germanica dall'impero, l'Europa perde la sua unità e non la recupererà mai più. Sarà divorata da millecinquecento anni di guerre fratricide che spesso contrapporranno l'Europa latina a quella germanica. La stessa riforma protestante, nasce dall'odio di una parte della Germania per Roma, odio che di sicuro, non ci sarebbe stato, se i tedeschi fossero entrati a far parte del sistema politico romano. Dal 1800 in poi, i tedeschi sono vissuti nel mito della 'Grande Germania' spiritualmente attiva e profonda, contrapposta alla decadente e materialistica Roma latina. Quello su cui i tedeschi non hanno mai messo l'accento è che una grande parte delle tribù non si schierò con Arminio. I Marcomanni restarono fedeli a Roma anche dopo il disastro del 9 D.C. Il fratello di Arminio, così come Segeste, fu sempre un fedele alleato di Roma. Se la presenza dei legionari non avesse comportato anche dei vantaggi, tutta la Germania si sarebbe ribellata e sia Segeste che il fratello di Arminio si sarebbero uniti a lui. Invece non fu così. E qui inizia la prima causa di schizofrenia che i tedeschi si portano dietro da duemila anni. Da un lato l'odio quando non il disprezzo per qualcosa di ritenuto decadente ed a cui lo spirito germanico è refrattario, dall'altro, l'ammirazione, quando non addirittura l'invidia per qualcosa di superiore. Nel momento in cui i germani furono costretti a darsi una organizzazione statale non potevano fare altro che guardare al modello romano, cioè in fondo a prendere consciamente come modello quello che inconsciamente ritenevano opposto alla loro concezione di vita. Nel 2009 in Germania è stato festeggiato il duemillesimo anniversario della vittoria di Arminio su Roma, segno questo che il mito resiste, anzi è ben vivo. Sarà questo festeggiamento il segnale inconscio che la Germania si prepara ad una terza guerra? Ovviamente non lo sappiamo. Sta di fatto che non ostante la tragedia del nazionalismo tedesco del ventesimo secolo, Arminio vive e vegeta. Va osservato che negli anni '70 gli psichiatri inventarono la teoria del 'doppio legame' per spiegare la schizofrenia, cioè la divisione della personalità in due parti distinte e non comunicanti. Secondo questa teoria, la psicosi insorge quando ci si trova nella condizione di dover contemporaneamente accettare e rifiutare la stessa cosa. La schizofrenia tedesca è nata e si è sviluppata in questo contesto di 'odi et amo'. Lo stesso Hitler insieme a tutta la sua congrega di partito era un profondo ammiratore dell'impero romano, ma contemporaneamente si esaltava quando parlava della lotta delle tribù germaniche contro Roma. Quali risultati abbia prodotto questo 'doppio legame' lo abbiamo visto. Esiste, ci si può chiedere, una spiegazione antropologica a tutto questo? Ossia, senza cadere in sterili oltreché pericolose discussioni sulla razza, vi è una spiegazione razionale del perché i popoli mediterranei e quelli delle'Europa 'nordica' sono così diversi? Una spiegazione può essere quella climatica. Come osservava Tacito, i Germani dovevano essere una razza autoctona, altrimenti chi avrebbe preferito vivere in un posto come la Germania tutta paludi e foreste, devastata dall'umidità durante l'estate e dal gelo in inverno? Da un certo punto di vista Tacito aveva ragione. I popoli che invasero la Germania dovevano provenire da zone climaticamente non favorevoli, per cui la migrazione verso un sito ugualmente sfavorevole non comportava molti sforzi di adattamento. Se la migrazione è avvenuta intorno al 2000 A.C. dobbiamo presumere che questi fossero popoli guerrieri di stirpe caucasica. Nel mediterraneo, l'arrivo di tali popoli si sovrappose ad una presenza già esistente di famiglie basate sul matriarcato. E' un fatto che mentre nella mitologia nordica, non vi è traccia di divinità femminili di fondamentale importanza, nel mondo mediterraneo, alla potenza di Zeus viene affiancata la saggezza di Minerva ed alla bellicosità di Marte, la grazia di Venere. Non a caso quando Cesare volle fare risalire le sue origini a divinità, scelse Marte e Venere. Nel mondo nordico, questo non poteva avvenire. La fusione del maschile con il femminile non poteva avvenire semplicemente perché i nuovi arrivati, con il loro corredo di divinità maschili guerriere non furono costretti a fondersi con culture preesistenti. Come avrebbe detto Jung, l'archetipo del mondo mediterraneo è la dea Era, quello del mondo nordico, Wotan. E' interessante notare che nel taoismo cinese e successivamente nelle filosofie nipponiche troviamo costantemente Yin e Yang, femminile e maschile che si compenetrano fino a diventare complementari e quasi indistinguibili. Ma mentre in Oriente la fusione del matriarcato con il patriarcato degli invasori caucasici ha funzionato perfettamente, in Europa, questo è potuto avvenire soltanto dove esisteva un substrato matriarcale, cioè nel mondo mediterraneo. Nel nord, a Wotan non si è potuta affiancare una equivalente dea Minerva. Ragion per cui, i germani e tuttora i tedeschi, vedono nel mondo mediterraneo qualcosa di estraneo a loro e viceversa. La stessa attitudine dei tedeschi per la matematica, la fisica e la filosofia, può essere spiegata in termini antropologici. Scienza, nella sua accezione più generale, significa rottura con la natura. Rottura, in quanto la comprensione presuppone una volontà di dominio, di asservimento della natura all'uomo. Mentre il principio femminile rappresenta l'equilibrio, la coesistenza dell'uomo con la natura, il principio maschile è creatore, ma l'atto della creazione presuppone anche la distruzione di ciò che vi era prima della creazione. "I grandi creatori sono anche grandi distruttori" diceva Nietzsche. C'è anche da fare un'altra considerazione. Se il cristianesimo ha potuto svilupparsi nel mondo romano è perché alla figura tipicamente maschile del Salvatore si è affiancata tutta una pletora di santi e martiri e in generale figure di sesso femminile, a cominciare dalla Vergine Maria. Tanto è vero che nel modo protestante nordico, la figura della Madonna è assolutamente meno importante che nel mondo cattolico. Segno questo che conferma l'avversione dei popoli germanici alla figura femminile. Le stesse Valchirie pagane non erano altro che vergini guerriere. Vergini perché private della componente tipicamente femminile cioè la riproduzione e guerriere in quanto comunque dovevano essere omologate all'uomo. Questa questione dell'omologazione della donna nel mondo odierno, se la si va a guardare con le lenti giuste, è un'altra conseguenza della battaglia di Varo. Quando si dice che il mondo nordico è un mondo in cui la donna è più 'uguale' all'uomo rispetto al mondo mediterraneo, si commette un errore in quanto il termine 'uguaglianza' dovrebbe essere sostituita con 'omologazione'. In un mondo dominato dall'archetipo maschile, non c'è spazio per la figura femminile. La donna quindi deve trasformarsi in 'Valchiria', deve omologarsi all'uomo, deve combattere nel mondo del lavoro, deve rinunciare alla maternità per la carriera. La decantata uguaglianza della donna nel mondo germanico è semplicemente una trasformazione forzata della donna in uomo. Se nella foresta di Teutoburgo le cose fossero andate diversamente, oggi probabilmente le donne non avrebbero bisogno di omologarsi, ma avrebbero il loro spazio che, al contrario di quello che vanno vaneggiando le femministe d'assalto, non è semplicemente dietro ai fornelli.
Possibili sviluppi futuri
Come si evolverà la storia dell'Occidente in futuro? Quali saranno le conseguenze ulteriori della sconfitta romana del 9 D.C.? Nessuno ha la sfera di cristallo, ovviamente. Ma oggi si assiste ad una volontà di disgregazione degli stati nazionali da sostituire con autonomie locali. Non è un caso che in Italia la 'Padania' si trovi nel nord più o meno a ridosso del mondo germanico dal quale ha subito le influenze. L'idea di stato centrale deve fare necessariamente riferimento a Roma, città che come dice Edward Luttwak ha saputo creare il modello di stato multietnico più efficiente e duraturo della storia. Andare contro Roma, significa tornare ad un modello tribale, cioè ad un modello germanico primitivo. Nel momento in cui il 'capitalismo germanico', cioè anglosassone con la sua trasformazione del denaro da mezzo a fine trionfa, questo trionfo può essere concepito come il trionfo di Wotan su Era, del guerriero distruttore sulla donna in armonia con la natura. Se si escludono le religioni orientali, l'unica religione in cui si è rispettato il ruolo 'femminile' della donna è quella cattolica. Quindi alla fine lo scontro sarà tra l'etica cattolica del perdono e dell'equilibrio con quella protestante, della predestinazione e della guerra. Gli attacchi alla Chiesa di Roma, hanno sempre e comunque il fine di distruggere la concezione 'romana' della storia e del posto dell'uomo nella storia. Da questo punto di vista si può dire che Varo ed Arminio combattono ancora anche se con mezzi diversi. Si arriverà ad un sincretismo come nel mondo orientale tra Yin e Yang, tra Wotan o il suo analogo Zeus e Minerva? Al momento la probabilità di un simile evento sembra alquanto remota. Ma all'ascoltatore dall'orecchio fine non possono non giungere gli scricchiolii dell'attuale capitalismo di stampo protestante. Il crollo delle economie occidentali viene letto dai più, anzi si potrebbe dire dalla quasi totalità degli analisti e non solo finanziari, come una questione congiunturale, una fase dei cicli del capitalismo previsti da Schumpeter, non come un difetto strutturale. Alcuni libertari che si rifanno a Rothbars, ad Ayn Rand o più moderatamente a Nozick, si fanno promotori di un anarco - capitalismo basato sulla totale libertà di impresa e di una totale o quasi totale eliminazione dello stato. Anche queste sono idee che provengono da una concezione 'germanica' del mondo. Spinta alle estreme conseguenze, questa concezione prevede un sistema sociale di stampo tribale, con un capitalismo usato come mezzo di lotta. Sarà questo il mondo del futuro? O il caldo afflato della Roma dei cesari e dei papi, pur con i suoi limiti e le sue manchevolezze, tornerà a scaldare i cuori degli uomini? Non possiamo dirlo, ma Arminio e Varo continuano a combattere e Roma non ha ancora perso la battaglia.