La Battaglia di Teutoburgo - di Riccardo Liberati
L'attuale Europa dipende da questo?

di Riccardo Liberati,fisico e divulgatore.
Gli
antefatti: Nella storia
vi sono stati eventi bellici che hanno portato a cambiamenti radicali. Uno di
questi e forse il più importante nella storia d'Europa, è la battaglia che si
svolse nella prima decade di Settembre del 9 D.C. in una zona non ancora
determinata con certezza nel nord della Germania. Per la storia della civiltà
occidentale, rappresenta una sorta di punto di diramazione. Se la battaglia non
avesse avuto luogo o avesse avuto un esito opposto, la storia del vecchio
continente sarebbe stata probabilmente diversa.
L'evoluzione della storia del mondo è influenzata, spesso, da una serie di
fattori del tutto imponderabili. Ad esempio se durante la campagna del 1815,
Napoleone avesse usato una calligrafia più comprensibile ed avesse spedito al
Maresciallo Drouet d'Erlon un messaggio chiaro nella battaglia di Ligny,
l'esercito prussiano sarebbe stato annientato e non avrebbe consentito a
Wellington di resistere agli attacchi francesi il 18 giugno dello stesso mese a
Waterloo.
Va da se quindi, che eventi a volte banali come la scrittura di una lettera con
questa o quella calligrafia, possono mutare il corso degli eventi, ma in
maniera assolutamente imprevedibile. Se Napoleone avesse vinto a Waterloo, non
ci sarebbe stato il congresso di Vienna e fin qui, si può essere d'accordo. Ma
poi? Si possono soltanto fare delle congetture.
Nel caso della Battaglia di Teutoburgo del 9 D.C. le cose sono invece,
facilmente e forse univocamente prevedibili. Ma che cosa accadde quell'anno in
quella impenetrabile foresta?
Iniziamo da Giulio Cesare. Conquistata la Gallia, si rende conto che dall'altra
parte del Reno vivono delle tribù estremamente bellicose che possono minacciare
le sue conquiste. Così, con la scusa della difesa di una tribù gallica
attaccata dai germani inizia una campagna contro di loro. Sconfigge Ariovisto
in una battaglia campale e costruisce un ponte sul Reno. Lo attraversa e fa
terra bruciata. Cesare è un uomo sicuro di sé e si fida della potenza delle sue
legioni. Tuttavia capisce che il rischio di avventurarsi in una terra tutta
paludi e foreste è enorme e dopo la bravata si ritira sulla riva sinistra del
fiume distruggendo il ponte. Leggendo il 'De bello gallico' si capisce che
Cesare fa una scoperta interessante e la comunica tra le righe al lettore. I germani
sono il popolo più barbaro con cui Roma ha avuto a che fare, ma stranamente non
sono stupidi. I greci avevano stabilito l'equazione: barbaro uguale stupido e
tutto sommato, questo aveva sempre funzionato. Se Cesare ha potuto conquistare
la Gallia lo si deve al suo genio, alla sua capacità di comando ed al suo
esercito, indubbiamente in quel tempo, il migliore del mondo. Ma gli danno una
mano i celti: barbari e non brillanti intellettualmente. Non conoscono il loro
territorio e in più occasioni si fanno mettere nel sacco dal condottiero
romano.
I germani di Ariovisto invece sanno perfettamente come muoversi. Tant'è che
Ariovisto fa una mossa astuta quanto coraggiosa: aggira le truppe di Cesare
tagliandogli i rifornimenti. Un altro generale, si sarebbe fatto prendere dal
panico, ma a Cesare non accadde. Si comporta come se nulla fosse accaduto e
prosegue la marcia. La battaglia che alla fine ne consegue ha un esito più o
meno scontato. La decima legione riesce a circondare i germani e lo scontro si
trasforma in strage. Come dice Fisher Fabian nel suo libro sui germani, la
storia del mondo è piena di idioti sconfitti da persone un poco meno idiote di
loro. Ariovisto è stato un grande uomo che ha avuto la sfortuna di incontrare
sul suo cammino un uomo più grande di lui.
Assassinato Cesare, e consolidato Ottaviano Augusto il suo potere, Roma decide
di proseguire quello che il predecessore del primo imperatore aveva lasciato in
sospeso. Il generale Druso Maggiore inizia la campagna di invasione delle
Germania e riesce nello scopo. Arriva fino al fiume Elba sconfiggendo tutta una
serie di tribù, tra cui i Cherusci. Ma una caduta da cavallo (e qui torna
l'imponderabile possibile causa di cambiamenti enormi nella storia del mondo)
gli causa la rottura di un femore. Druso muore, ma la conquista della Germania
è considerata ormai cosa fatta.
I fatti:Augusto affida la gestione della provincia appena conquistata a
Publio Quintilio Varo, ex governatore della Siria. Varo è un uomo di legge, un
giurista. In Siria è riuscito a soffocare una sorta di ribellione punendo
severamente i Siriaci ribelli con la morte e crede di poter fare la stessa cosa
in Germania. Qui sorge il primo dubbio: come mai Augusto, uomo non certo
sprovveduto, che aveva dato prova di capacità e pragmatismo nella lotta contro
Marcantonio, affida il governo della provincia appena acquisita ad un uomo come
Varo? Lo riteneva adatto allo scopo non conoscendolo bene o pensava che i suoi
metodi, avendo funzionato in Siria avrebbero funzionato anche in Germania?
Ovviamente, non c'è risposta.
Sta di fatto che Varo, si comporta in Germania come si comportò in Siria:
fustigazioni pubbliche, popolazione vessata dalle tasse, imposizione della
legge romana ad un popolo che aveva delle tradizioni completamente diverse.
Ora, gli storici dell'epoca, ci dicono che non ostante tutto, lentamente i
germani si stavano adattando al nuovo stile di vita. Passavano l'inverno nelle
città che i romani stavano costruendo e iniziavano ad appezzare i vantaggi che
conseguivano dall'occupazione delle loro terra. D'altro canto, il genio dei
romani fu proprio questo: far apprezzare ai nuovi conquistati i vantaggi
derivanti dalla loro sconfitta. Ad onta di coloro che vaneggiano di un impero
romano oppressore e tirannico, dirà secoli più tardi Claudio Rutilio Namaziano
riferendosi a Roma: "Tu hai reso felici i popoli nella sconfitta". I
germani, abituati all'umidità delle paludi e ad una dieta non certo raffinata,
dovevano apprezzare i vantaggi della sottomissione a Roma. Tant'è che molti di
loro rimasero fedeli all'Urbe anche quando i romani furono costretti a
ritirarsi. Segno questo, che in fondo con Roma a comandare, le cose al di là
del Reno non andavano poi tanto male per i nativi. Ma i metodi di Varo, non
erano molto apprezzati e qui entra in scena un nuovo personaggio: Arminio
principe dei Cherusci, una popolazione sconfitta da Druso. Arminio viene
mandato a Roma come ostaggio, entra nell'esercito romano e si fa notare per le
sue capacità ed il suo talento militare tanto che i romani gli conferiscono
l'onore della cittadinanza romana ed il grado equestre. A questo punto però,
nasce un litigio. Arminio perde la testa per Tusnelda, la figlia di Segeste,
germano alleato dei romani. Segeste tuttavia non ne vuole sapere. Forse nella
sua testa c'era il sogno di fare sposare la figlia ad un personaggio influente
di Roma per consolidare la sua posizione o forse semplicemente non gli piaceva
Arminio che considerava una testa calda. Non lo sapremo mai. La cosa tuttavia
rende Arminio furibondo e nella sua mente evidentemente, nasce il desiderio di
vendicarsi. Ma vendicarsi di Segeste, vuol dire vendicarsi dei romani di cui
lui è alleato e da cui è protetto.. Sa che non potrà infierire su di lui senza
infierire sui romani.
I tedeschi hanno fatto di questo ragazzo innamorato, un eroe. Arminio è per
loro l'eroe che libera la Germania dall'oppressore, ma spesso gli uomini
attribuiscono ad altri uomini, valori ed ideali che a quelli sono estranei. Si
è visto in Spartaco, l'eroe che combatte Roma per liberare il mondo dalla
schiavitù. Ma c'era veramente nella testa di Spartaco questo ideale? O forse
più banalmente Spartaco era un disperato? Un uomo qualunque che ribellandosi
alla sua schiavitù, capì che se voleva evitare la crocifissione doveva
convincere altri schiavi a lottare con e per lui? Se avessimo chiesto a
Spartaco se considerasse abietta la schiavitù, siamo sicuri che ci avrebbe
risposto di si? O forse com'è probabile nella sua visione del mondo la
schiavitù era semplicemente una istituzione data per scontata e la sua
ribellione era soltanto una faccenda privata, come diremmo oggi? Stesse
considerazioni valgono per Arminio. Era veramente la libertà del suo popolo
quello che gli stava a cuore? O più banalmente in lui vi era soltanto un
desiderio di vendetta per l'amore non concesso? Come con Spartaco, né lui né
altri ce lo hanno detto. Sono segreti questi che di solito gli uomini
custodiscono gelosamente e si portano nella tomba.
Ma torniamo ai fatti: Arminio, finge di essere amico di Varo, mentre invece
organizza una trappola. Convince alcune tribù a ribellarsi a Roma. Quali
argomenti abbia portato a sostegno del suo programma di ribellione, non lo
sappiamo. Di certo, il ragazzo era sveglio e aveva imparato dai romani ad
esprimersi in maniera convincente. Sta di fatto che le tribù accettano. Varo
con le sue tre legioni, si trova nei quartieri estivi. Arriva l'autunno e
l'esercito di occupazione dovrà spostarsi in quelli invernali più ad ovest. Al
comando di Varo ci sono tre legioni, la XVIIa, la XVIIIa e la XIXa più alcune
migliaia di uomini appartenenti alle truppe ausiliarie e l'immancabile
cavalleria. Si tratta di una forza d'urto devastante che se messa in condizione
di schierarsi in campo aperto, risulta praticamente imbattibile e questo Arminio,
avendo combattuto con i romani, lo sa. Ma sa anche che gli eserciti romani
hanno un punto debole. Se non riescono a schierarsi in campo aperto, la loro
efficacia diventa praticamente nulla. Così escogita un piano: assalirà le
legioni durante la traversata nel fitto di una foresta. A questo punto sorge un
altro dubbio: come mai Varo non si accorge di nulla? Arminio deve essere stato
bravissimo a fingere, ma se non proprio a Varo che evidentemente nella sua
ingenuità si fidava cecamente di lui, come mai a qualcun altro non venne il
sospetto che qualche cosa stava andando storto?
Ma andiamo avanti. Arriva il giorno della partenza e le tre legioni con i
bagagli, gli ausiliari, la cavalleria ed un cospicuo numero di civili, si mette
in marcia. La sera prima succede un fatto strano. Segeste denuncia
pubblicamente il piano di Arminio a Varo. Avverte Varo che Arminio gli sta
tendendo una trappola. Arminio si è inventato una finta piccola ribellione che
i romani potranno sedare semplicemente deviando di poco la strada durante la
marcia e quindi li assalirà. Ora, qualsiasi uomo di normale intelligenza e di
buona salute mentale avrebbe iniziato a dubitare. Varo invece non dubita.
Evidentemente i rapporti tra Arminio e Segeste dovevano essere talmente
compromessi che Varo considera quello che dice Segeste, una semplice sparata
per screditare Arminio. Ma tre legioni significano di fatto un esercito
imperiale, con tanto di generali, 'primi pili' e uomini avvezzi alla strategia
ed alla tattica militare. Nessuno si accorge di niente. Nessuno sospetta
niente. A nessuno viene in mente di mandare gruppi di avanguardie per
perlustrare il territorio durante la marcia. Se i romani, nel corso della loro
storia fossero stati così ingenui, non sarebbero riusciti a conquistare nemmeno
i sette colli. Invece quel giorno in Germania, diventano tutti perfettamente
idioti. Generali, 'primi pili', ufficiali, nessuno sospetta niente, nessuno
prende sul serio il discorso di Segeste. Che conclusione se ne può trarre?
Forse le cose non sono realmente andate così. In fondo quello che sappiamo lo
sappiamo grazie agli storici romani che potrebbero avere inventato tutto. Ma a
che scopo? Per far ricadere la colpa del disastro su Varo e sui generali
romani? E' poco credibile. E quindi? Mistero. Anzi, il primo mistero. Ne
seguiranno altri. C'è anche da dire una cosa: se gli scampati al disastro sono
stati così pochi, come fanno gli storici romani a sapere della delazione di
Segeste? Forse qualcuno dei sopravvissuti aveva sentito tutto? Ma se è così
vuol dire che a sentire Segeste erano in parecchi. La notizia deve essersi
diffusa nel campo. Se così stanno le cose è ancora peggio: nessuno prende sul
serio Segeste nemmeno tra gli ufficiali. Ma andiamo ancora avanti. Varo e
l'esercito imperiale si mettono in marcia. Arminio ovviamente è con i romani,
finge fino all'ultimo. Deve farlo altrimenti il piano non riesce. Arrivati ad
un certo punto del tragitto, i romani deviano dal percorso per andare a sedare
la piccola ribellione inventata dal giovane germano. Altro mistero. Chiunque si
intenda minimamente di cose militari sa che per andare a combattere un nemico
occorre conoscere la sua posizione, la sua forza ed il suo schieramento.
Insomma, chi sono, dove sono, quanti sono e come sono armati. I romani non erano
degli sprovveduti. Avevano conquistato mezzo mondo, sconfitto Cartagine, gli
eserciti greci, avevano teso una sorta di trappola ai teutoni e l'anno dopo ai
cimbri, annientandoli, insomma, non erano certo dei principianti. Eppure, qui
si fanno fregare come polli. La deviazione presto risulta più difficoltosa del
previsto. La marcia dei legionari nella foresta paludosa si trasforma in un
incubo. Come se non bastasse arriva anche il tempo a metterci del suo. Scoppia
un temporale. Il terreno diventa viscido, i legionari arrancano. I carriaggi
affondano nel fango. I rami spezzati dal vento cadono addosso ai legionari e ne
impediscono la marcia. Altro mistero. Né Varo, né i generali, né gli ufficiali,
propongono di tornare indietro. Sanno che in queste condizioni sono
vulnerabili, ma continuano ad infilarsi nella foresta senza mandare una
pattuglia di ricognizione in avanscoperta. Sembra tutto talmente assurdo da
essere uscito da un mediocre film di Hollywood. Eppure succede questo, almeno a
sentire i romani. Sono andate veramente così le cose? O, come è più probabile,
i romani si sono trovati circondati da tutte le parti appena iniziata la
marcia? Gli scavi di Kalkriese sembrano escluderlo. Sembra che le cose siano
andate così; i romani si sono fatti sorprendere e non hanno avuto tempo e modo
di schierare le legioni in ordine di battaglia. Ma ricordiamo che parecchi
storici negano che Kalkriese sia realmente il luogo della battaglia di
annientamento. In ogni caso, si tratta di un ulteriore mistero. A quel punto i romani
vengono assaliti. I germani escono dalla foresta dove si erano nascosti e
prendono di sorpresa i legionari che iniziano a cadere a centinaia. Arminio
passa con i suoi e Varo deve averlo saputo quasi subito. In quel momento doveva
essere chiaro a tutti che Segeste aveva ragione. Perché Varo non dà l'ordine di
tornare indietro e uscire dalla foresta? Non si sa. I romani continuano ad
avanzare e i germani attaccano da tutti i lati. L'imboscata è riuscita
perfettamente. Ora, un altro mistero: sembra che i germani abbiano costruito un
terrapieno dove si sono nascosti per aggredire i nemici di sorpresa. Ma il
terrapieno trovato a Kalkriese è di un centinaio di metri. E' stato calcolato
che la colonna romana in marcia doveva essere lunga almeno venti chilometri.
Ammettiamo che non sia così. Ammettiamo che i romani fossero disposti su più
file da quattro o da sei, come prescriveva l'ordine di marcia in quei tempi e
che la colonna si sia sviluppata per soli otto o nove chilometri. I germani si
nascondono dietro un terrapieno. Ma questo serve soltanto a tendere l'imboscata
a un centinaio di metri di colonna. E il resto? Non solo. I romani passano di
fianco al terrapieno e non si accorgono di nulla. A nessun centurione, a nessun
ufficiale viene in mente di mandare qualcuno a vedere che cosa c'è dall'altra
parte. Parliamoci chiaro. Sarebbe incredibile persino in un film di cartoni
animati. Non solo, ma gli storici affermano che i germani erano molto meno
numerosi dei romani. Qualcuno parla addirittura di non più i tremila guerrieri.
Come hanno fatto ad aggredirli su tutta la colonna allora? Insomma, come si
vede, i conti non tornano già dall'inizio delle storia. Comunque sia, i romani
capiscono di essere in trappola. Non riescono ad uscire dalla foresta e la
battaglia dura altri due giorni. Alla fine lo sterminio è totale. I germani non
fanno prigionieri, anzi, seguendo una loro particolare inclinazione che
conserveranno i loro discendenti fino a pochi decenni or sono, infieriscono sui
prigionieri. La tragedia è totale. Tre legioni, coorti di ausiliari distrutte,
ali di cavalleria annientate. La notizia giunge a Roma come un fulmine. Augusto
cade in depressione. Per giorni non si rade nemmeno la barba. Piange in
continuazione e ripete come un automa "Varo rendimi le mie legioni".
Lo shock deve essere stato tremendo. Per la prima volta un esercito di
occupazione romano viene annientato da una rivolta di barbari. Non era mai
successo. Non così per lo meno. Negli anni successivi i romani si vendicheranno
con Germanico. Temporaneamente torneranno fino all'Elba. Sconfiggeranno
Arminio, stermineranno fino all'ultimo uomo i Marsi, una tribù che aveva
partecipato alla ribellione e vendicheranno i romani caduti, ma i confini
dell'impero si fermeranno al Reno. Che cosa spinse i romani ad abbandonare
l'idea della conquista totale delle provincia germanica? Come dice uno storico
inglese, fu l'estrema povertà della Germania ad escluderla dalla dominazione
romana. Conquistarla sarebbe stato in fondo fattibile, Druso lo aveva fatto, ma
poi? La storia insegna che molto spesso le difficoltà risiedono non tanto nella
conquista, ma nel mantenimento. Dislocare a nord decine di migliaia di uomini
per mantenere una provincia che non dava nulla era uno spreco che i romani no
erano disposti a compiere. Nessuno impiega decine di migliaia di soldati per
conquistare e mantenere paludi e foreste. E' stato obiettato che Roma conquistò
la Dacia che era comunque piena di foreste e paludi. Ma in Dacia c'era l'oro,
il famoso oro di Decebalo. In Germania no e i romani quando si trattava di
andare a prendersi l'oro degli altri non andavano per il sottile. Comunque sia,
Tiberio prese la decisione di lasciare perdere la Germania. In fondo, a quel
tempo, i barbari oltre il Reno erano sufficientemente abili a sterminarsi da
soli, senza l'aiuto dei legionari. Tornarono in Germania varie volte. I
ritrovamenti archeologici di Harzhorn vicino a Kalefeld in bassa Sassonia, lo
dimostrano, ma sempre per spedizioni punitive, mai con il desiderio di
sottomettere e mantenere l'intera Germania.
Le
conseguenze:Il mito di
Arminio nasce nell'800. Benedetto Croce fa risalire all'imboscata del 9 D.C. la
genesi del nazionalismo tedesco. Nazionalismo che scriverà le sue pagine più
drammatiche negli anni compresi tra il 1930 ed il 1945. Nel 1800, con le guerre
franco tedesche e soprattutto nel 1914, i tedeschi percepiscono la necessità di
un mito unificatore. La Germania non è unita e non c'è nulla meglio dei miti
per unire i popoli divisi. Sorge quindi il mito di Arminio, l'eroe liberatore
della Germania. Qualcuno, come Thomas Mann nelle sue 'Considerazioni di un
impolitico' porrà la questione della differenza tra germanesimo e romanità in
termini di Kultur e Zivilization. I tedeschi rappresentano la Kultur, i latini
(in quel tempo Mann si riferiva alla Francia), la Zivilization. La Kultur
rappresenta lo spirito, la libertà, l'amore per l'arte, la Zivilization la
decadenza, lo stato centralizzato, la perdita dei valori individuali annegati
nella palude della macchina statale efficiente quanto si vuole, ma in ultima
analisi comunque corruttibile e corruttrice. Dopo il 9 D.C. i romani, per un
motivo o per l'altro hanno rinunciato alla Germania e questo ha spaccato
l'Europa. Le invasioni del quarto e quinto secolo hanno trasformato l'impero romano
in un impero 'romano - germanico', ma non avendo gli invasori la stessa abilità
politica del popolo che andavano a sostituire nella gestione dell'impero, lo
frazionarono in tante piccole unità che sarebbero divenute poi le Nazioni
europee. La spaccatura dell'Europa in tante unità nazionali è stata la
conseguenza della inettitudine politica dei barbari che occuparono l'impero,
anche se, bisogna ammetterlo, i germani dei tempi di Odoacre non erano gli
stessi dei tempi di Arminio. Fatto sta che con l'esclusione della provincia
germanica dall'impero, l'Europa perde la sua unità e non la recupererà mai più.
Sarà divorata da millecinquecento anni di guerre fratricide che spesso
contrapporranno l'Europa latina a quella germanica. La stessa riforma protestante,
nasce dall'odio di una parte della Germania per Roma, odio che di sicuro, non
ci sarebbe stato, se i tedeschi fossero entrati a far parte del sistema
politico romano. Dal 1800 in poi, i tedeschi sono vissuti nel mito della
'Grande Germania' spiritualmente attiva e profonda, contrapposta alla decadente
e materialistica Roma latina. Quello su cui i tedeschi non hanno mai messo
l'accento è che una grande parte delle tribù non si schierò con Arminio. I
Marcomanni restarono fedeli a Roma anche dopo il disastro del 9 D.C. Il
fratello di Arminio, così come Segeste, fu sempre un fedele alleato di Roma. Se
la presenza dei legionari non avesse comportato anche dei vantaggi, tutta la
Germania si sarebbe ribellata e sia Segeste che il fratello di Arminio si
sarebbero uniti a lui. Invece non fu così. E qui inizia la prima causa di
schizofrenia che i tedeschi si portano dietro da duemila anni. Da un lato
l'odio quando non il disprezzo per qualcosa di ritenuto decadente ed a cui lo
spirito germanico è refrattario, dall'altro, l'ammirazione, quando non
addirittura l'invidia per qualcosa di superiore. Nel momento in cui i germani
furono costretti a darsi una organizzazione statale non potevano fare altro che
guardare al modello romano, cioè in fondo a prendere consciamente come modello
quello che inconsciamente ritenevano opposto alla loro concezione di vita. Nel
2009 in Germania è stato festeggiato il duemillesimo anniversario della
vittoria di Arminio su Roma, segno questo che il mito resiste, anzi è ben vivo.
Sarà questo festeggiamento il segnale inconscio che la Germania si prepara ad
una terza guerra? Ovviamente non lo sappiamo. Sta di fatto che non ostante la
tragedia del nazionalismo tedesco del ventesimo secolo, Arminio vive e vegeta.
Va osservato che negli anni '70 gli psichiatri inventarono la teoria del
'doppio legame' per spiegare la schizofrenia, cioè la divisione della
personalità in due parti distinte e non comunicanti. Secondo questa teoria, la
psicosi insorge quando ci si trova nella condizione di dover contemporaneamente
accettare e rifiutare la stessa cosa. La schizofrenia tedesca è nata e si è
sviluppata in questo contesto di 'odi et amo'. Lo stesso Hitler insieme a tutta
la sua congrega di partito era un profondo ammiratore dell'impero romano, ma
contemporaneamente si esaltava quando parlava della lotta delle tribù
germaniche contro Roma. Quali risultati abbia prodotto questo 'doppio legame'
lo abbiamo visto. Esiste, ci si può chiedere, una spiegazione antropologica a
tutto questo? Ossia, senza cadere in sterili oltreché pericolose discussioni
sulla razza, vi è una spiegazione razionale del perché i popoli mediterranei e
quelli delle'Europa 'nordica' sono così diversi? Una spiegazione può essere
quella climatica. Come osservava Tacito, i Germani dovevano essere una razza
autoctona, altrimenti chi avrebbe preferito vivere in un posto come la Germania
tutta paludi e foreste, devastata dall'umidità durante l'estate e dal gelo in
inverno? Da un certo punto di vista Tacito aveva ragione. I popoli che invasero
la Germania dovevano provenire da zone climaticamente non favorevoli, per cui
la migrazione verso un sito ugualmente sfavorevole non comportava molti sforzi
di adattamento. Se la migrazione è avvenuta intorno al 2000 A.C. dobbiamo
presumere che questi fossero popoli guerrieri di stirpe caucasica. Nel
mediterraneo, l'arrivo di tali popoli si sovrappose ad una presenza già
esistente di famiglie basate sul matriarcato. E' un fatto che mentre nella
mitologia nordica, non vi è traccia di divinità femminili di fondamentale
importanza, nel mondo mediterraneo, alla potenza di Zeus viene affiancata la
saggezza di Minerva ed alla bellicosità di Marte, la grazia di Venere. Non a
caso quando Cesare volle fare risalire le sue origini a divinità, scelse Marte
e Venere. Nel mondo nordico, questo non poteva avvenire. La fusione del
maschile con il femminile non poteva avvenire semplicemente perché i nuovi
arrivati, con il loro corredo di divinità maschili guerriere non furono
costretti a fondersi con culture preesistenti. Come avrebbe detto Jung,
l'archetipo del mondo mediterraneo è la dea Era, quello del mondo nordico,
Wotan. E' interessante notare che nel taoismo cinese e successivamente nelle
filosofie nipponiche troviamo costantemente Yin e Yang, femminile e maschile
che si compenetrano fino a diventare complementari e quasi indistinguibili. Ma
mentre in Oriente la fusione del matriarcato con il patriarcato degli invasori
caucasici ha funzionato perfettamente, in Europa, questo è potuto avvenire
soltanto dove esisteva un substrato matriarcale, cioè nel mondo mediterraneo.
Nel nord, a Wotan non si è potuta affiancare una equivalente dea Minerva.
Ragion per cui, i germani e tuttora i tedeschi, vedono nel mondo mediterraneo
qualcosa di estraneo a loro e viceversa. La stessa attitudine dei tedeschi per
la matematica, la fisica e la filosofia, può essere spiegata in termini
antropologici. Scienza, nella sua accezione più generale, significa rottura con
la natura. Rottura, in quanto la comprensione presuppone una volontà di
dominio, di asservimento della natura all'uomo. Mentre il principio femminile
rappresenta l'equilibrio, la coesistenza dell'uomo con la natura, il principio
maschile è creatore, ma l'atto della creazione presuppone anche la distruzione
di ciò che vi era prima della creazione. "I grandi creatori sono anche
grandi distruttori" diceva Nietzsche. C'è anche da fare un'altra
considerazione. Se il cristianesimo ha potuto svilupparsi nel mondo romano è
perché alla figura tipicamente maschile del Salvatore si è affiancata tutta una
pletora di santi e martiri e in generale figure di sesso femminile, a
cominciare dalla Vergine Maria. Tanto è vero che nel modo protestante nordico,
la figura della Madonna è assolutamente meno importante che nel mondo
cattolico. Segno questo che conferma l'avversione dei popoli germanici alla
figura femminile. Le stesse Valchirie pagane non erano altro che vergini
guerriere. Vergini perché private della componente tipicamente femminile cioè
la riproduzione e guerriere in quanto comunque dovevano essere omologate
all'uomo. Questa questione dell'omologazione della donna nel mondo odierno, se
la si va a guardare con le lenti giuste, è un'altra conseguenza della battaglia
di Varo. Quando si dice che il mondo nordico è un mondo in cui la donna è più
'uguale' all'uomo rispetto al mondo mediterraneo, si commette un errore in
quanto il termine 'uguaglianza' dovrebbe essere sostituita con 'omologazione'.
In un mondo dominato dall'archetipo maschile, non c'è spazio per la figura
femminile. La donna quindi deve trasformarsi in 'Valchiria', deve omologarsi
all'uomo, deve combattere nel mondo del lavoro, deve rinunciare alla maternità
per la carriera. La decantata uguaglianza della donna nel mondo germanico è
semplicemente una trasformazione forzata della donna in uomo. Se nella foresta
di Teutoburgo le cose fossero andate diversamente, oggi probabilmente le donne
non avrebbero bisogno di omologarsi, ma avrebbero il loro spazio che, al
contrario di quello che vanno vaneggiando le femministe d'assalto, non è
semplicemente dietro ai fornelli.
Possibili sviluppi futuri
Come si evolverà la storia dell'Occidente in futuro? Quali saranno le
conseguenze ulteriori della sconfitta romana del 9 D.C.? Nessuno ha la sfera di
cristallo, ovviamente. Ma oggi si assiste ad una volontà di disgregazione degli
stati nazionali da sostituire con autonomie locali. Non è un caso che in Italia
la 'Padania' si trovi nel nord più o meno a ridosso del mondo germanico dal
quale ha subito le influenze. L'idea di stato centrale deve fare necessariamente
riferimento a Roma, città che come dice Edward Luttwak ha saputo creare il
modello di stato multietnico più efficiente e duraturo della storia. Andare
contro Roma, significa tornare ad un modello tribale, cioè ad un modello
germanico primitivo. Nel momento in cui il 'capitalismo germanico', cioè
anglosassone con la sua trasformazione del denaro da mezzo a fine trionfa,
questo trionfo può essere concepito come il trionfo di Wotan su Era, del
guerriero distruttore sulla donna in armonia con la natura. Se si escludono le
religioni orientali, l'unica religione in cui si è rispettato il ruolo
'femminile' della donna è quella cattolica. Quindi alla fine lo scontro sarà
tra l'etica cattolica del perdono e dell'equilibrio con quella protestante,
della predestinazione e della guerra. Gli attacchi alla Chiesa di Roma, hanno
sempre e comunque il fine di distruggere la concezione 'romana' della storia e
del posto dell'uomo nella storia. Da questo punto di vista si può dire che Varo
ed Arminio combattono ancora anche se con mezzi diversi. Si arriverà ad un
sincretismo come nel mondo orientale tra Yin e Yang, tra Wotan o il suo analogo
Zeus e Minerva? Al momento la probabilità di un simile evento sembra alquanto
remota. Ma all'ascoltatore dall'orecchio fine non possono non giungere gli
scricchiolii dell'attuale capitalismo di stampo protestante. Il crollo delle
economie occidentali viene letto dai più, anzi si potrebbe dire dalla quasi
totalità degli analisti e non solo finanziari, come una questione
congiunturale, una fase dei cicli del capitalismo previsti da Schumpeter, non
come un difetto strutturale. Alcuni libertari che si rifanno a Rothbars, ad Ayn
Rand o più moderatamente a Nozick, si fanno promotori di un anarco -
capitalismo basato sulla totale libertà di impresa e di una totale o quasi
totale eliminazione dello stato. Anche queste sono idee che provengono da una
concezione 'germanica' del mondo. Spinta alle estreme conseguenze, questa
concezione prevede un sistema sociale di stampo tribale, con un capitalismo
usato come mezzo di lotta. Sarà questo il mondo del futuro? O il caldo afflato
della Roma dei cesari e dei papi, pur con i suoi limiti e le sue manchevolezze,
tornerà a scaldare i cuori degli uomini? Non possiamo dirlo, ma Arminio e Varo
continuano a combattere e Roma non ha ancora perso la battaglia.