Dignità e Fallimenti

30.06.2021

Riparti da dove sei, usa quello che hai, fai quello che puoi

di Nicola Sparvieri

Quello che più efficacemente caratterizza la vita di ogni essere umano, non è quello che ciascuno inserisce nel curriculum vitae o quello che si desidera diventare e nemmeno i risultati migliori che sono stati ottenuti nella vita. Viceversa, quello che maggiormente determina la nostra identità sono i nostri fallimenti, quello che ci portiamo dentro, ogni giorno, e che rappresentano le nostre cicatrici, i marchi che la vita ci ha impresso sulla pelle e nel cuore. Sono infatti i nostri insuccessi, i nostri fallimenti, che ci rendono veri e ci ricordano che non sempre è stato possibile realizzare alcuni desideri importanti per una serie di circostanze o di stupefacenti combinazioni di fatti che ci hanno costretto con la faccia a terra facendoci capire che le cose che accadono hanno una complessità e una profondità che va molto al di là di ogni semplificazione. Persino la morale, religiosa o laica che sia, al confronto con la complessità di quello che accade, è un tentativo di dare una linea di condotta semplificata al formidabile intreccio degli accadimenti della vita che sono in massima parte non controllabili e che il più delle volte avversano i nostri progetti e i nostri desideri. La presenza di un certo numero di fallimenti non è un fatto di cui addolorarsi ma, al contrario, di cui rallegrarsi perché essi producono una spinta autentica a impegnarsi meglio nei marosi della vita e mettono l'uomo in una seria relazione con la natura universale nella quale vige il principio che "più è grande il messaggio e più esso è improbabile", come insegna la termodinamica statistica, e dunque "lo status naturale non è quell'unico colpo che centra il bersaglio ma una moltitudine di bersagli mancati".

Nel caso della mia vita ho conosciuto in passato, e vivo oggi, molti fallimenti e sento qui il bisogno, per una mia esigenza di sincerità, di elencarne qualcuno, pur senza entrare nei dettagli. Così, ad esempio,  non sono riuscito a formarmi come avrei voluto nel percorso di studi e questo mi pesa tuttora, ho avuto difficoltà da giovane ad esprimere liberamente il mio pensiero per paura del giudizio altrui, mi sono accontentato della mediocrità scambiandola per buonismo, ho rinunciato ad avere autonomia nelle scelte anche basilari e pratiche in cerca di consensi e talvolta accettando soprusi, ho trascurato la mia famiglia di origine quando aveva bisogno del mio tempo e delle mie energie, ho tradito, ho rubato, sono fuggito, non sono riuscito ad impegnarmi nel sociale e nel politico nonostante lo ritenessi necessario, non sono riuscito e non riesco a finalizzare il libro che vorrei scrivere, non riesco a raggiungere un soddisfacente benessere fisico e ponderale nonostante i miei sforzi di anni, non sono riuscito, nel matrimonio, a favorire una crescita coniugale oltre a quella genitoriale, nel campo delle amicizie devo riconoscere di avere soltanto pochissimi veri amici e con alcuni di questi ho vissuto drammatiche distruzioni della relazione mentre con altri ho sperimentato poco coraggio nella restituzione degli affetti. Ma il fallimento più grande che provo è che alcuni dei miei figli mi hanno giudicato pubblicamente come moralmente indegno sia come uomo che come genitore ferendo grandemente la mia dignità di uomo e la mia autorità di padre. Tutti questi insuccessi e fallimenti, che mi sono sempre davanti ogni giorno, mi accusano per le mie negligenze ma, soprattutto, per la difficoltà a poterli compensare a motivo del tempo che passa e della scarsità di occasioni favorevoli che restano per ribaltare la situazione. Ma quello che ho capito, e che mi restituisce pace, è che non bisogna preoccuparsi di ribaltare un bel niente ma semplicemente accettare e lasciarsi assecondare da questo flusso vitale nel quale sono inserito e che mi coinvolge. I fallimenti sono ormai parte di me e misurano, come pietre miliari, la cifra del fatto che ho vissuto concretamente il mio tempo e che mi sono positivamente lasciato coinvolgere e compromettere anche se con evidenti errori che riconosco e che avrei voluto evitare.

Con l'avanzare dell'età e dell'esperienza di vita si assume via via la consapevolezza che non è dal non avere fallimenti che risiede la vera felicità ma dal valorizzare gli insuccessi e saperci convivere. Essi sono dei compagni di viaggio sinceri e autentici, dei veri amici che ti dicono sempre la verità su te stesso e sulle relazioni umane senza doverti illudere o adularti per farsi accettare. I fallimenti sono l'impronta della sostanza della vita, l'unico specchio che ci restituisce l'immagine autentica di chi siamo e rende inutile millantare chi non siamo per poter estorcere un po' di affetto da chi ci vive intorno.

La mattina, quando ci svegliamo e ci ricontestualizziamo dopo lo stacco del sonno, è bello e rilassante considerare il contesto di fallimenti della nostra realtà che ci pacifica e ci aiuta a ripartire con quel senso del vero che è cosi gradito e godibile. Esso ci aiuta a organizzare la giornata ridando nuove positive speranze non già di raggiungere risultati o obiettivi, che anche se raggiunti non restituirebbero senso e bellezza, ma per impiegare positivamente il tempo che rimane. Agire con rinnovata speranza ogni nuovo giorno è il senso della vita che, come insegna Spinoza, consiste nello lo sforzo di continuare a vivere ("Ogni essere si sforza di permanere in se stesso, e che un tale sforzo è la sua stessa essenza attuale" Spinoza Ethica, parte m, proposizioni VI-IX).  Infatti è solo nel godere appieno del "qui e ora" il vero senso della vita, e se si aspettasse di essere degni o di avere una qualche forma di sufficiente decoro prima di poter vivere, sarebbe solo un decidere di non vivere, un aspettare un messia inutile. È bello ripartire da dove ci si trova, anche in un luogo periferico della vita e con la storia ferita dai fallimenti; bello usare quello che si ha, anche una cultura imperfetta e manchevole; bellissimo è fare quello che si può, con le poche o tante energie che si posseggono per continuare comunque ad essere aggrappati alla vita e a quel senso del buono e del giusto che rende comunque tutto più vero.